Il design come algoritmo dell'innnovazione
Da un pò di tempo sia in contesti educativi che di aziendali mi ritrovo a parlare di design e soprattutto di come lo intendo io (spiegare cos’è il design oggi è sempre parte del menù).
Dopo anni nei quali ho usato una spiegazione che tenesse insieme varie sfaccettature, oggi vado diretto a questo schema che ho in bozza perenne, in attesa di dargli forma scientificamente rilevante.
![grafico che visualizza il design come un algoritmo dell'innovazione, che processa scale come tempo, impatto e dimensione epistemologica, mettendoli in relazione con le grandezze fondamentali dell'organizzazione](/images/posts/23_design-come-algoritmo-dell-innnovazione.png)
In pratica propongo di vedere le attività progettuali come un algoritmo dell’innovazione, che tiene in considerazione le diverse scale della complessità, il tempo e l’impatto auspicato, poi i metodi di conseguenza. L’idea è decentrare l’oggetto dell’attività progettuale (caro a Buchanan quando definiva i 4 ordini del design1).
E’ una personalissima teoria del tutto che ha come centro la relazione forte tra le grandezze chiave dell’organizzazione e le logiche delle attività progettuali. Grande ambizione, grandi difetti, lo so…
Alcune note veloci (ripromettendomi di concludere il paper che è lì da troppo tempo a lievitare):
- la chiave di complessità per la lettura del contesto e l’applicabilità di una certa strategia di conseguenza, viene dall’intramontabile Cynefin Framework di Dave Snowden2: non ho ancora codificato con precisione la possibilità di trasferire qui i livelli inquadrati da Snowden in quanto non c’è un allineamento ontologico fra le scale;
- euristicamente qui la strategia è un atto di scelta del dove posizionare l’impatto dell’innovazione, mentre la tecnica il modo per processarlo internamente;
- le 4 grandezze dell’organizzazione – apprendimento, conoscenza, proposito e rituali – sono fortemente innestate sull’asse valori/sapere (nell’epoca degli algoritmi, che possiamo vedere come strategie di mobilitazione della conoscenza, sarà certamente un tema da espandere);
- una premessa importante è che i processi di design (o progettuali), non possono avvenire ed essere astratti senza una contestualizzazione culturale agita dall’organizzazione che li costruisce;
- il livello più basso, quello dei metodi, vorrebbe essere anche quello più effimero e destinato a mutare, cambiare, adattarsi a linguaggi e ambiti.
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Buchanan, R. (1992). Wicked Problems in Design Thinking. Design Issues, 8(2), 5–21. https://doi.org/10.2307/1511637 ↩︎
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Snowden, D. J., & Boone, M. E. (2007, November 1). A Leader’s Framework for Decision Making. Harvard Business Review. https://hbr.org/2007/11/a-leaders-framework-for-decision-making ↩︎